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AYURVEDA
Una medicina sempre più moderna
Ayurveda, scienza della vita [1]
Autore: Flavio Gazzola

Ayurveda in sanscrito significa “Scienza della Vita” dalla parola Ayu, “vita” e Veda, “scienza” o “conoscenza”.

L’Ayurveda viene descritto nei Veda, la più antica letteratura di conoscenza esistente, la cui origine si perde nella notte dei tempi. È la più antica scienza e medicina sinora nota. Le basi delI’Ayurveda sono religiose, in quanto l’uomo può essere compreso e curato in base a tale comprensione solo quando si riconosce la sua natura spirituale. La causa vera di ogni malattia risiede nella rinuncia alla personale missione ed evoluzione spirituale. Inoltre l’uomo riproduce in sé il cosmo intero, è un microcosmo in intima relazione e interdipendenza con l’intero creato, il macrocosmo: l’evoluzione dell’uomo conduce all’evoluzione dell’universo e viceversa.

I concetti filosofici e religiosi alla base dell’Ayurveda.

L’Ayurveda si basa sulla filosofia Samkhya (da Sat, “verità”, e khya, “conoscenza”), sviluppata dagli antichi illuminati indiani, i rishi. Secondo i rishi vi è un principio unico, che potremmo definire come “Coscienza cosmica”, formato da tutte le scintille spirituali poste nell’Universo, compresa l’essenza spirituale di ogni uomo; l’illuminato è tale perché accede a tale coscienza, la condivide, ne gode e si sente tutt’uno con essa: in tal momento la sua individualità si annulla, la goccia diviene oceano.

La Coscienza cosmica si accresce e si arricchisce quando in essa si gettano nuove gocce; perché ciò accada, come si è detto, è necessario che un essere si ìllumini, rinunciando alla propria individualità; nello stesso tempo, l’individualità è necessaria per consentire la maturazione di tali pure scintille spirituali, che solo al termine della loro evoluzione possono confluire nella Coscienza cosmica.

La creazione avviene senza soluzione di continuità e consiste nel rendersi tangibile del Principio unitario cosciente sul piano materiale, attraverso una sorta di densificazione e differenziazione. Per effetto di tale trasformazione, la sostanza spirituale si condensa in materia, perdendo ad ogni gradino la consapevolezza originaria, a mano a mano che il suo peso aumenta. Nel mondo cosiddetto inanimato la consapevolezza è minima, mentre la condensazione è massima. Ma da qui in poi si compie il cammino inverso; i minerali “inanimati” si rianimano negli organismi viventi, dai più semplici ai più complessi, e nell’Uomo consentono il raggiungimento delI’illuminazione, ovvero il ritorno alla Coscienza cosmica, e il circolo si chiude, ma ad un livello superiore, poiché una goccia si è aggiunta all’oceano.

Da tali princìpi nascono le prime due forme di energia differenziate, fra loro complementari: Purusha, consapevolezza passiva, priva di scelta (con altre parole: “puro sentire”), e Prakryti, consapevolezza attiva, volontà allo stato puro. Prakryti genera tutte le forme dell’Universo, mentre Purusha ne è il testimone e la memoria. Prakryti e Purusha, unendosi, formano Mahad, o Buddhi, che potremmo chiamare nel linguaggio occidentale il logos o la Natura, l’attiva intelligenza presente in tútto l’Universo, una sorta di “mare intelligente”, che abbraccia e forma ogni manifestazione di energia e materia.

Il logos si differenzia ulteriormente nelle intelligenze o scintille spirituali individuali egoiche, Ahamkar. Ahamkar si compone di tre parti: Sattva, o vera essenza spirituale, Rajas, mente, e Tamas, corpo. La vera essenza dell’Uomo è Sattva, mentre Tamas è il corpo a lui prestato dalla Natura; Rajas è la “mente”, o l’anima, un “foglio bianco”, un progetto da completare, al contrario del corpo, che è già formato e definito e sul quale l’Uomo può agire solo come un buon manutentore. La mente è come un computer senza programmi, i quali devono essere scritti dall’Uomo; la capacità di scrivere buoni programmi per il funzionamento della mente risiede interamente sotto la responsabilità del singolo essere umano. Rajas è un’interfaccia fra Sattva e Tamas, fra lo spirito individuale e il corpo, e consente di utilizzare il corpo, come il volante consente al guidatore di utilizzare la macchina. In un certo senso è anche il punto debole della triade: si può affermare che l’uomo tende a identificarsi con Rajas, anziché con Sattva, e a divenire prigioniero della propria mente, non riconoscendo più la propria natura spirituale.

Il mancato riconoscimento di sé come essere spirituale conduce a sofferenza, poiché non consente di affrontare la vita nel modo stabilito dalla leggi di Natura e crea con esse un conflitto, che costituisce la base di ogni malattia. È giusto occuparsi del corpo, quando si ammala, ma tenendo presente che le malattie che si manifestano per lungo tempo, senza guarire, hanno un’origine mentale e, ancora più fondamentalmente, spirituale. Secondariamente, l’ignoranza o la negligenza verso le leggi di Natura, conducendo ad ammalare il corpo, producono un aggravarsi dei problemi mentali.

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