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Politica e Salute
Europa unita sulla carta ma non sulla sostanza
Esclusive legittime per la Corte Ue
Autore: Sole 24 ore

Il Sole-24 Ore: "Esclusive legittime per la Corte Ue"  Data pubblicazione: 02/08/2002Articolo tratto da Il Sole-24 Ore del 23 luglio 2002.

 

Per ragioni di interesse pubblico gli Stati Ue possono riservare, in via esclusiva, l'esercizio di talune attività a professioni regolamentate. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di giustizia dell'11 luglio nel caso Paracelsus (C- C-294/00).

L'articolo 46 del Trattato, infatti, consente agli Stati di istituire un regime particolare in materia di libera prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento purché il sistema sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

Conformemente alla giurisprudenza constante della Corte, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi e alla libertà di stabilimento debbono soddisfare le seguenti condizioni:

·        applicarsi in modo non discriminatorio a tutti i cittadini Ue;

·        rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico;

·        essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.

Inoltre, il fatto che l'esercizio di un'attività sia consentito in uno Stato membro non rende automaticamente sproporzionate e incompatibili con il diritto comunitario le disposizioni di un altro Stato membro che le vieta. In mancanza di una definizione a livello comunitario degli atti riservati ai titolari di un diploma di laurea in medicina, ciascuno Stato membro è libero di vietare, in relazione alla sua concezione della tutela della sanità pubblica, "pratici" non in possesso di un diploma di laurea per l'esercizio di attività a carattere medico. A giudizio della Corte uno Stato membro può anche vietare sul suo territorio formazioni diverse da quelle previste per l'accesso alla professione titolare dell'esclusiva nonché la relativa pubblicità. Lo Stato non può invece vietare la pubblicità delle formazioni impartite in un altro Stato Ue. Tuttavia, la pubblicità deve precisare che l'iter si svolge in un altro Stato Ue e deve specificare la professione non può essere esercitata nel territorio dello Stato dove viene effettuata la pubblicità.

La Corte di giustizia ha così risposto ai quesiti posti in via pregiudiziale dal Oberster Gerichtshof di Vienna e ha ritenuto legittime le norme della legge austriaca relativa alla professione medica che vietano l'esercizio della professione a persone diverse dai titolari di un diploma di laurea in medicina indipendentemente dal Paese di origine.

In particolare la questione riguardava gli "Heilpratiker" (naturoterapisti), professionisti non medici autorizzati in Germania a diagnosticare, curare o alleviare malattie, dolori o lesioni fisiche nell'uomo.
La professione di heilpratiker non è una professione regolamentata il cui accesso sia subordinato al possesso di una determinata qualifica. Infatti, l'autorizzazione è rifiutata solo nel caso in cui il richiedente non abbia ancora compiuto 25 anni o non possa dimostrare di aver compiuto con profitto un ciclo di studi di scuola primaria. Essa è altresì rifiutata se un esame delle conoscenze e delle attitudini del richiedente effettuato dai servizi sanitari rivela che l'esercizio della professione di Heilpraktiker costituirebbe un pericolo per la sanità pubblica.
La sentenza è particolarmente importante poiché ribadisce la validità di regolamentazioni nazionali che, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, riservino per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica l'esercizio di una particolare professione a soggetti in possesso di qualifiche determinate. Tanto più che la definizione di questi principi giuridici appartiene tuttora agli Stati membri. Inoltre, la Corte non dice che ciò si applica solo alle professioni non regolamentate.

La sentenza avrà un impatto sulla riforma del sistema delle qualifiche a livello Ue. La proposta di riforma adottata dalla Commissione europea e ora all'esame del Parlamento europeo (relatore Stefano Zappalà) sembra infatti andare in senso opposto a quello voluto dalla sentenza poiché, nell'ambito delle professioni regolamentate, apre la strada a riconoscimenti di qualifiche non pienamente corrispondenti a quelle esistenti nello Stato membro di destinazione, consentendo anche l'esercizio solo parziale della professione. Si pensi al caso dell'osteopata, professione regolamentata in Francia e riservata ai medici in Italia.

Essa ha anche indirettamente l'effetto di mettere un freno al qualification shopping cui qualcuno potrebbe essere indotto: vale a dire ottenere una qualifica professionale meno onerosa in uno Stato Ue e, attraverso la libera prestazione dei servizi, esercitare la professione nel Paese d'origine. La sentenza vuole rafforzare invece la posizione degli Stati membri i quali, in nome dell'unicità della professione regolamentata vogliono impedire riconoscimenti parziali che potrebbero generare confusione nei clienti.

Antonio Preto

 








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